Dal 26 febbraio al 3 marzo va in scena al Teatro Mercadante ENRICO IV di Luigi Pirandello. A cimentarsi con questa pietra miliare del teatro novecentesco è Carlo Cecchi, l’attore e regista che dopo i memorabili allestimenti de L’Uomo, la bestia e la virtù (1976) e Sei personaggi in cerca d’autore (2001), si confronta ancora una volta con i grandi temi della maschera, dell’identità, della follia e del rapporto tra finzione e realtà. Un classico smontato e rimontato, dove la pazzia, l’arte e l’immaginazione si impongono come unica realtà, uno spettacolo in cui a trionfare è il teatro nel teatro, e il teatro è l’unico vero protagonista.
Dramma in tre atti scritto nel 1921 e considerato il capolavoro di Pirandello assieme al suo Sei personaggi in cerca d’autore, ENRICO IV è una tragedia vibrante, amara, di assoluta bellezza, che infrange gli schemi della drammaturgia. Un testo che attinge alla tensione interiore di un protagonista che diventa tensione di segno universale, fino a trasformare la tragedia in farsa.
«Si recita con Pirandello e anche contro Pirandello – annota Carlo Cecchi –, si prendono alla lettera la famosa formula “teatro nel teatro” e l’altrettanto famosa opposizione “finzione/realtà” e le si spingono oltre l’asfittico dibattito “vita/forma”, verso un gioco di specchi in alcuni casi vertiginoso. Si recita contro Pirandello, quando il contenuto e/o la forma della sua “tragedia” regrediscono ai luoghi comuni del teatro naturalistico della fine dell’Ottocento (per esempio: “la commozione cerebrale” come causa della pazzia del protagonista; o l’intero terzo atto che Pirandello precipita in un confuso e melenso melodramma con tanto di “catastrofe” finale). Questo doppio gioco con l’autore e con la pièce – doppio gioco che prende Pirandello molto sul serio, e lo affronta criticamente – conduce “la tragedia” a uno spettacolo il cui tema è il teatro, quello di oggi: specchio frantumato che riflette la vita della nostra epoca che è (citando Baudelaire) “un deserto di noia” con “oasi d’orrore” che crescono e sempre più si moltiplicano nel mondo. “Enrico IV” fu scritto per Ruggero Ruggeri, “grande attore” dei primi decenni del Novecento di stile liberty e di scuola dannunziana (pare che stesse recitando “Amleto” quando Pirandello pensò di scrivere per lui Enrico IV: un Amleto moderno!!!). Dopo di lui, tutti i “grandi attori” si sono “cimentati” con questo ruolo, fino agli ultimi superstiti. Esso è infatti un lungo, sterminato monologo, dove la funzione degli altri personaggi si riduce spesso a quella di dare la battuta al “grande attore” perché possa continuare il suo estenuante monologo. Ho ridotto drasticamente la parte di Enrico IV, dando in questo modo spessore drammatico agli altri personaggi, così da permettere un gioco di insieme. La prima scena, quella dei consiglieri, immette immediatamente nel teatro: si tratta infatti di un provino che i tre fanno al nuovo arrivato; si gioca fra Pirandello e l’improvvisazione, entro dei limiti che non la conducano a quel teatro gratuito, arbitrario, delle cosiddette “attualizzazioni”.
La scena dei Signori in visita è all’apparenza più “canonica” – ma “il canone” viene continuamente spiazzato da irruzioni metateatrali, che alla fine riducono “il canone” a una lunga citazione. Il personaggio di Enrico IV riassume nella sua recitazione quella delle scene precedenti: “canone”, “citazioni”, “improvvisazione”, eccetera, esaltandoli e deridendoli nello stesso momento».