I pm romani, dopo qualche mese di indagine, hanno richiesto l’archiviazione per Fausto Brizzi. Il regista era indagato per violenza sessuale dopo che, sull’onda lunga del #MeToo, il programma “Le Iene” ha raccolto testimonianze di quindici donne (la maggior parte non hanno voluto svelare la loro identità) che avrebbero subito molestie. In tre hanno poi sporto denuncia.
Non è stato l’unico servizio de Le Iene dedicato a Brizzi e a queste presunte molestie.
La sospensione delle attività lavorative
All’esplosione del caso, Brizzi ha deciso di defilarsi e di sospendere tutti i suoi impegni lavorativi. Durante la promozione del suo ultimo film il regista è rimasto ben lontano dagli incontri con la stampa e dalle altre attività di presentazione. Nonostante ciò, si è dichiarato sempre dal primo momento innocente affermando che in vita sua non ha mai avuto rapporti che non fossero consenzienti.
Le indagini
La violenza sessuale in Italia si persegue secondo quanto stabilito da una riforma dell’Ordinamento datata 1996. Salvo specifici casi, non è un reato che si persegue d’ufficio. Non solo, ma il tempo utile per sporgere denuncia è di 6 mesi.
Il servizio de Le Iene
Quello delle Iene fu un vero e proprio ciclone nella vita di Brizzi, che qualcuno dopo la messa in onda ha definito il “Weinstein italiano“. Secondo gli addetti della trasmissione Mediaset, le donne che lo accusavano descrivevano tutte – pur sostenendo non si conoscessero – medesimi particolari delle violenze che hanno affermato di aver subito.
Come ricordavamo, quello del 2017 non è l’unico servizio che la trasmissione di Italia 1 ha dedicato a Fausto Brizzi. Tampinato dalla Iena di turno in un ritorno datato 22 aprile, Brizzi non proferì parola alle telecamere, mentre Roberta Rei è “andata a chiedergli perché non le denuncia per diffamazione se quello che loro dicono è falso” (frase tratta dal sito de Le Iene).
Per Le Iene, difatti, quella sarebbe la prova della colpevolezza di Brizzi, che non avrebbe agito per timore della riapertura delle indagini.
Invece, puntualissima, arrivata la richiesta d’archiviazione arriverà anche la richiesta, in sede civile, del risarcimento danni. Lo ha affermato l’avvocato del regista ad alcuni giornali che lo hanno raggiunto per rilasciare una dichiarazione.
La verità non la fa Italia 1
Tornando alla radice, però, il problema è che ancora una volta è stata calpestata la presunzione di innocenza in cerca di un certo sensazionalismo che fa a pugni con la professione giornalistica.
Riprendendo le parole di un altro regista, Paolo Virzì, sull’argomento:
“C’è un problema di qualità dell’informazione su un tema così importante per la vita delle donne e in generale delle persone. Dispiace che ci sia un vuoto legislativo e culturale. Che certi temi siano lasciati alle trasmissioni di intrattenimento, che per loro natura lo propongono in modo scandalistico”.
Un’opinione tutto sommato sensata e completa, quella del regista di Ovosodo. Che va a toccare due dei nervi scoperti che ha sollevato questa delicata vicenda.
La qualità dell’informazione
Le Iene hanno dimostrato più di una volta di rincorrere il clamore ad ogni costo. Questo a volte bypassando alcuni basiliari concetti relativi all’informazione giornalistica.
L’esempio del Blue Whale è calzante: il servizio che raccontava di questa pratica suicida è stato smontato pezzo dopo pezzo da chiunque faccia attività di debunking. Questo senza tenere in conto come la professione giornalistica italiana (che tra l’altro ha un Ordine dei Giornalisti) si regoli nel caso di notizie di suicidi e di come si debba tenere in conto l’effetto Werther in questi casi.
(suggeriamo al lettore la visione di questo video di FanPage)
Tornando a Brizzi, trovate il servizio de Le Iene del 22 aprile a questo link. Il servizio è tendenzialmente sbilanciato a favore delle vittime, questo lo si evince dal sottolineare alcuni passaggi come quello dei comuni particolari rilevati dalle testimonianze e soprattutto nella chiusa, che lasciava palesemente sottintendere la colpevolezza di Brizzi in funzione della mancata controazione legale (tutta, tra le altre cose, in suo diritto). Insomma, nonostante una solo formale imparzialità la sentenza sembrava già bella che emessa.
“Il problema – secondo Carlo Freccero, membro di Vigilanza Rai – è che, quando queste notizie vengono date da media generalisti, diventano vere automaticamente”.
I tempi della denuncia
D’altro canto, però, bisogna dare atto soprattutto alle associazioni femministe che 6 mesi per la denuncia di questa tipologia di reati sono un tempo troppo breve. Questo il parere di tantissimi esperti in materia, ma anche dell’avvocato Giulia Buongiorno che proprio nel video de Le Iene ricorda che questo è un tempo strettissimo in cui le vittime dei reati di violenza ancora stanno elaborando il trauma.